Welfare addio

Welfare addio….. Intorno agli anni ’70, proprio al culmine dei “trenta gloriosi”, come in Francia chiamano il periodo che va dal ’45 al ’75, ci fu nel rapporto Capitale/Reddito il punto più basso degli ultimi due secoli di misurazioni. Chi ha una certa età ricorderà il valore del proprio salario, il rispetto per il lavoro, persino una qualche penuria di manodopera, e la discreta facilità con cui si riusciva a diventare piccoli proprietari. Altri tempi! In quel periodo fu varata la maggior parte delle riforme che costituiscono il nucleo moderno dei nostri diritti sociali e del nostro welfare e, prime fra tutte: lo Statuto dei Lavoratori e la riforma sanitaria.
Pochi giorni fa la7 ha intervistato un giovane magazziniere di Milano
che si lamentava del salario, del costo della vita, e che dopo sei anni del suo mestiere stesse ancora vivendo coi genitori. Alla domanda che cosa avesse votato alle ultime politiche, la risposta è stata: “Purtroppo ho votato Meloni”. Purtroppo, perché s’era accorto in ritardo della sua cattiva volontà a istituire un salario minimo che gli avrebbe regalato numerosi benefici. Bravo mona! Ma il giovane magazziniere appartiene all’enorme banco di pesci rossi che non capisce, e se capisce dimentica. D’altronde la delusione per la politica della Meloni riguarda solo il salario minimo, cioè una misura che gli assicurerebbe un vantaggio privato, non un diritto collettivo scaturito da una diversa idea di società. La democrazia e la volontà generale sono fatte di mille storie così, e la schiavitù che esse provocano è più aspra di quella procurata con l’esplicita violenza.
Anche in Veneto “i pesci” non hanno capito in tempo.
Qui durante la pandemia la popolarità di Zaia è arrivata a percentuali bulgare, nonostante l’insipienza del personaggio che raggiunse il suo apice con la lettura dei versi di Eracleonte da Gela, la simpatica fake a cui il nostro governatore abboccò con esiti esilaranti. Dopo 30 anni di governo della destra e della Lega, la sanità veneta è nelle condizioni indicate da Report nella trasmissione di Lunedì scorso, ma i veneti non l’hanno ancora capito.
La privatizzazione forzata di tutti i servizi e la corruzione agevolata della missione di medico mettono in sicuro pericolo la salute dei non abbienti. Col diffuso malessere, capita pure che l’operatrice del Cup attacchi il telefono in faccia al malcapitato che si lamenta degli insopportabili tempi d’attesa. Sicché il calcolo fatto a Torino nel 2016, con l’ipotetico tram che passando dai quartieri signorili del centro a quelli operai delle periferie fa perdere all’utenza cinque mesi di vita al chilometro, cioè da 82,1 anni a 77,8 di vita media, ha in Veneto una più severa corrispondenza.
Addio al SSN e alla salute che
“la Repubblica tutela come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, addio alla riforma di Tina Anselmi. L’acqua dei pesci comincia ad essere tossica, ma essi non hanno ancora intenzione di lasciare l’acquario e riversarsi per strada.