I giornalisti onesti ci sono

Soltanto che costano di più – Affermava Mark Twain: «Solo ai morti è permesso di dire la verità.» – I giornalisti onesti ci sono
Aggiungendo dopo che diversi dei suoi scritti furono censurati o respinti dai suoi editori e capiredattori, sopportando le conseguenze dello scomodo privilegio di quella libertà di opinione a cui cercò sempre di dare espressione:
«Un uomo non è indipendente, e non può permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua posizione sociale e ai guadagni negli affari.»
Facciamo allora qualche accenno su come nasce e si sviluppa il giornalismo?
Nel 1536 il governo della Repubblica di Venezia [vedi: G. Fanelli, Venezia unica al mondo, p. 159] decise di diffondere un foglio di avvisi con notizie ufficiali sull’andamento della crisi con l’impero turco [la crisi sfocerà in una guerra l’anno seguente]. Tali “fogli avvisi” (manoscritti di piccolo formato di 4-8 pagine) erano venduti settimanalmente a due soldi. Dal momento che la moneta da due soldi si chiamava Gaxeta, i fogli assunsero il nome di tale moneta, italianizzato poi in gazzetta.
Nel 1631 compilata dall’ex medico Théophraste Renaudot, inizia ad uscire a Parigi La Gazette per volere del cardinale Richelieu. Presenta inizialmente 4 pagine in piccolo formato e la tiratura non arriva alle mille copie.
Nel 1785 a Londra John Walter, un ex commerciante di carbone, fonda il Daily Universal Register che nel 1788 diventa The Times. È questo leggendario giornale che trasforma l’informazione giornalistica a mezzo stampa in una vera e propria impresa industriale. Dopo un’ottima “copertura” della Rivoluzione francese, The Times per la restante parte del secolo vende i propri servizi al miglior offerente.
Ma la maggior parte degli introiti arriva grazie a due forme di pagamento occulto:
la Suppression fee e la Contradiction fee: la prima consiste nel versamento di una somma per non far pubblicare l’articolo che potrebbe nuocere o imbarazzare; la seconda nella pubblicazione di un articolo che ne contraddica un altro pubblicato in precedenza. Capito? Parliamo del Times e delle sue origini.
I vari fogli non sembrano prodotti importanti e costosi né, considerando l’alto tasso di analfabetismo, destinati al grande pubblico. E, infatti, il 21 marzo 1885, a Bologna viene fondato il quotidiano Il Resto Del Carlino. Il nome fa riferimento a quando costava due centesimi, cioè il resto dovuto a chi con la moneta di un Carlino comprava un sigaro.
In quegli stessi anni John Swinton è redattore-capo del New York Times. Egli pronunciò un discorso in occasione di un banchetto con i suoi colleghi presso l’American Press Association [Fonte: Richard O. Boyer e Herbert M. Morais, Labor’s Untold Story, United Electrical, Radio & Machine Workers of America, NY, 1955/1979]:
«In America, in questo periodo della storia del mondo, una stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so pure io.
«Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate. Io sono pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal giornale col quale ho rapporti.
Altri di voi sono pagati in modo simile per cose simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro. Se io permettessi alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata.
«Il lavoro del giornalista è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio paese e la sua gente per il suo pane quotidiano. Lo sapete voi e lo so pure io. E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente?
«Noi siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte.
Noi siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri. Noi siamo delle prostitute intellettuali.»
John Swinton [ https://en.wikipedia.org/wiki/John_Swinton_(journalist) ] pronunciò queste parole nel 1880, e la speranza che nei decenni successivi la situazione possa essere migliorata può derivare solo dall’affinamento delle tecniche di propaganda che, attraverso i giornali e l’ancora più potente televisione, fanno credere al popolo che esista libertà di stampa, di espressione, e di informazione.
Ogni lettore desideroso di equilibrio nell’informazione dovrebbe ricordare questo discorso ogni volta che accende il televisore, ed ogni volta che sfoglia un quotidiano. Noi, semmai, vorremmo stimolarlo a farlo leggere a quante più persone possibili perché solo la consapevolezza ci può aiutare a migliorare la situazione.
Giornalisti e giornali sono ”comprati”?
Un Rapporto realizzato per il CIMA [Center for International Media Assistance – https://www.cima.ned.org/ ] denuncia la sottovalutazione del problema della corruzione nel giornalismo: «Siamo stati tanto impegnati a difendere i giornalisti da diventare troppo timidi nell’analisi e nella denuncia di questo aspetto del nostro mestiere», denuncia la ricerca e indica una serie di misure per combattere «il lato oscuro della professione». Un ampio paragrafo viene dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta altrettanto – se non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.
In Ghana un giornalista va a una conferenza stampa e nella cartellina trova una busta marrone con dentro un assegno per un valore di 20 dollari. [ https://www.lsdi.it/2010/giornalisti-e-giornali-comprati/ ] Un’argent de poche (una paghetta). Non si meraviglia, e alla fine dell’incontro la infila in borsa e torna in redazione a scrivere il pezzo.
In Russia un’agenzia di pubbliche relazioni manda in giro un falso comunicato relativo a una azienda inesistente. Tredici testate abboccano e si dicono disponibili a pubblicare la nota in forma di articolo, ma solo dietro pagamento, con richieste che vanno dai 120 ai 2.000 dollari. Soldi per scrivere (o per non scrivere): è quello che Rosental Alves, direttore del Knight Center for Journalism in the Americas della University of Texas chiama «il lato oscuro della professione» e che si verifica ogni giorno in ogni parte del mondo.
Il tema è al centro di ”Cash for Coverage” un Rapporto che Bill Ristow, giornalista di Seattle ed esperto in formazione dei giornalisti, ha realizzato per il CIMA, un progetto che fa capo al National Endowment for Democracy (NED).
Non solo i giornalisti
e i loro editori accettano bustarelle per fare articoli su materiali truccati, ma spesso entrambi istigano ed estorcono soldi per pubblicare storie favorevoli a qualcuno o non pubblicare articoli che possano danneggiare qualcun altro.
Il Rapporto naturalmente sottolinea come la corruzione nel mondo giornalistico non sia diffusa solo nei paesi in via di sviluppo, e un ampio paragrafo viene infatti dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta altrettanto – se non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.
Nonostante tutte le campagne organizzate per sostenere lo sviluppo dei media e difendere la libertà di stampa nel mondo, è stato fatto molto poco per ridurre il problema della corruzione nel giornalismo – e quel poco che è stato fatto proviene da una fonte che può sorprendere un giornalista: i professionisti delle Pubbliche relazioni.
Le loro associazioni internazionali hanno sponsorizzato le ricerche più approfondite mai fatte sulla questione, e sia in Europa dell’est che altrove la gente delle PR ha cercato di lavorare insieme ai giornalisti per ripulire l’industria delle notizie.
Alcuni, fra cui anche esperti nel campo della libertà di stampa con molta esperienza,
ritengono che i difensori dei giornalisti debbano fronteggiare attacchi che provengono da così tanti lati che si sentono a disagio a criticare tutti gli aspetti dei media stessi, per quanto queste critiche siano ben meritate.
Rosental Alves, tuttavia, è uno di quelli che sono convinti che puoi difendere la libertà di stampa e chiedere nello stesso tempo degli alti standard. E non è d’accordo con la comune preoccupazione secondo cui il problema del giornalismo ‘comprato’ è così profondamente radicato da diventare virtualmente insolubile: «Non penso che sia impossibile – dice – È molto difficile, certo, ma i miglioramenti che si sono verificati mostrano che qualcosa si può fare, basta cominciare ad agire.»
Sulla base di una serie di interviste a persone che hanno lottato contro lo spinoso problema della corruzione, l’autore del Rapporto delinea le principali raccomandazioni per un’azione che – afferma – possa fare la differenza nell’impegno per ridurre questa macchia sulla professione giornalistica.
Intanto uno dei temi più controversi del momento è: l’Italia riformi la legge e depenalizzi il reato di diffamazione.
È l’invito che fu rivolto dalla rappresentante per la libertà dei media dell’Osce, Dunja Mijatovic, in una lettera al Ministro degli esteri Emma Bonino (in carica dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014) in cui esprime “preoccupazione” per le pene detentive inflitte per diffamazione ai tre giornalisti di Panorama Marcenaro, Mulé e Arena. (ANSA) «In una moderna democrazia nessuno dovrebbe essere imprigionato per quello che scrive», specifica Mijatovic.
Nella lettera al Ministro Bonino,
Mijatovic ricorda il caso Sallusti e sottolinea il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito ripetutamente che «la reclusione per il reato di diffamazione è sproporzionata e dannosa per una società democratica» […] I tribunali civili sono del tutto in grado di rendere giustizia alle rimostranze di coloro i quali si ritengano danneggiati nella propria reputazione», scrive ancora la rappresentante per la libertà dei media nella lettera pubblicata sul sito dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
«La reclusione per diffamazione ha un grave effetto raggelante che mina l’efficacia dei mezzi di comunicazione», dichiara ancora Mijatovic. «Continuerò a lavorare a stretto contatto con le autorità italiane per promuovere la depenalizzazione della diffamazione. Dovrebbe essere fatto presto per evitare ulteriori accuse di diffamazione e per stimolare l’attività giornalistica investigativa», sottolinea infine la rappresentante per la libertà dei media dell’Osce, che ha esortato tutti gli altri Stati membri dell’organizzazione che hanno leggi penali sulla diffamazione ad abrogarle.
In Italia persiste [ https://www.soldioggi.it/reato-di-diffamazione-16453.html ] il reato di diffamazione che è punito dalla legge. Un retaggio culturale che stenta ad adattarsi a norme e consuetudini di vivere civile.
Un esempio:
Michele Favero, segretario di Indipendenza Veneta (un esiguo, sguarnito e vulnerabile partito indipendentista), è stato condannato dal Tribunale di Padova a pagare diecimila euro di risarcimento (più interessi e spese legali) al nipote del generale Luigi Cadorna, per aver insultato e diffamato il nonno con vari post su Facebook. [ https://www.serenissima.news/insulti-a-cadorna-michele-favero-condannato-a-padova-e-questione-di-liberta/ ]
La decisione del Tribunale di Padova riconosce la libertà di critica, ma ritiene che Michele Favero abbia sconfinato nell’insulto. «I toni usati dal Favero – scrive la giudice – non sono solo “parole forti” o “toni aspri” – che pure potrebbero essere tollerati nell’esercizio del diritto di critica, ma sono veri e propri insulti, gratuita manifestazione di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici.»
Il tribunale ha ingiunto a Michele Favero di cancellare immediatamente dalla sua pagina Facebook tutti i post contro Cadorna, pena l’ulteriore pagamento di 50 euro per ogni giorno di ritardo.
Favero (che si è visto pignorare i conti correnti) è stato condannato a pagare 10.000 euro più le spese processuali. La sentenza è immediatamente esecutiva e lascia Favero e la sua famiglia in gravi difficoltà economiche, considerando che il procedimento giudiziario è già costato a questo padre di famiglia più di 27.000 euro.
La querela temeraria.
Nel corso degli anni tutte le questioni legate al tema si sono fatte complesse. Per molto tempo, specialmente i politici, per tacitare le critiche si sono cimentati in querele comprendenti consistenti richieste d’indennizzo. Tuttavia il giudice, quando ne è fatta domanda, se vi è colpa grave può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato.
Alberto Spampinato, giornalista, fondatore e direttore [ https://www.ossigeno.info/ ] di “Ossigeno per l’informazione” – l’osservatorio sui cronisti italiani minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza – condivide totalmente l’iniziativa promossa dal Corriere della Calabria assieme ad altre
[ https://www.corrieredellacalabria.it/2022/02/27/lattacco-alla-libera-stampa-in-calabria/ ] testate, all’ordine e al sindacato dei giornalisti . E si dice pronto a mettere a disposizione l’esperienza pluriennale di “Ossigeno” e a diffondere «l’appello a livello internazionale».Intanto al cosiddetto popolo sovrano non è concesso d’intervenire.
Ci sono un sacco di authority che garantiscono questo e quello. Per esempio, se si acquista un alimento c’è un’etichetta che equivale alla sua carta d’identità; ma sono insufficienti le indicazioni che garantiscono il lettore che ha diritto di conoscere, del prodotto giornalistico che acquista, l’esatta e aggiornata composizione dell’assetto proprietario, nonché l’elenco dei principali inserzionisti pubblicitari, degli azionisti di controllo, eventuali patti di sindacato, e i possessi collaterali dei partecipanti al patto, i bilanci societari.
Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione, nel colophon (gerenza), del Consiglio di amministrazione, della tiratura, dell’eventuale quotazione in borsa, dell’ammontare della raccolta pubblicitaria e dell’elenco dei committenti. Periodicamente i lettori dovrebbero essere informati delle variazioni di tiratura.
Annualmente dovrebbero essere pubblicati lo Statuto interno, il testo integrale dei Patti intercorsi tra editore e direttore e i principali codici deontologici che regolano la professione giornalistica. Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione delle fonti giornalistiche e delle qualifiche dei collaboratori, soprattutto se ricoprono incarichi politici.
Solo allora si potrebbe avverare ciò che Joseph Pulitzer (1), già aveva scritto: «…un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare, gli errori del governo, e una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.»
NOTA: (1) così J. PULITZER, Sul giornalismo, Bollati Boringhieri, 2009, 101.