L’infanzia della ragione

Finalmente ci hanno lasciati in pace:
i festeggiamenti della monarchia inglese sono terminati.
Se già m’infastidiva l’infinita querelle sui fatti di famiglia dei discendenti di Elisabetta (dopo che ci siamo dovuti sorbire quelle dei suoi ascendenti), l’abbuffata di fesserie sugli amori, sulle corna, sui cappellini, sui vestiti verdi ramarro e le volpi al tavolo del te, mi hanno sfinito.
Le incredibili folle di inglesi che si sono riversate per strada a osannare la loro sovrana mi fanno disperare che ci possa essere qualcosa di raziocinante oltre la Manica.
Sono un repubblicano ostinato.
Ma molto di più sono un democratico ancora convinto che la democrazia sia quanto di più vicino alle possibilità espressive della ragione.
E, sentir parlare, come in questi tristi giorni del conflitto russo-ucraino, della superiorità morale e civile delle nostre democrazie occidentali, mi fa sorridere alquanto.
L’avete sentita come squittiva la Merlino quando Marija Zacharova ha deriso l’idea orgogliosa che abbiamo dei nostri sistemi politici?
Avete notato come siamo lesti e superficiali quando denunciamo l’oligarchia russa e la loro democrazia di facciata?
E la nostra, non ci sdegna la nostra?
Gli inglesi non sono capaci di fare a meno di un Capo di Stato saltato fuori dalla storia remota del loro paese, un capo persino biologicamente remoto.
Confondono compiaciuti il vertice politico con quello religioso, lo confondono con un apice del costume, dello stile, con un portavoce di civiltà.
Pagano volentieri le spese per la loro monarchia (la nostra Repubblica ne ha dieci volte di più), e non sono per niente scandalizzati di dover sottomettere l’elaborazione della loro volontà generale a un meccanismo emanato da un’entità irrazionale.
Noi, invece, che abbiamo ucciso Dio e le autorità che pretendevano di governare per Sua volontà, abbiamo generato vertici politici effetto della democrazia, poiché il popolo è il dio del nostro tempo.
Peccato però,
che pur magnificando il popolo in tutte le salse, la pratica politica lo esclude da ogni decisione concreta.
Peccato che non ci sia una sola scelta politica che sorga in Parlamento, o peggio, direttamente dalle urne elettorali; peccato che la maggior parte della nostra classe dirigente non venga individuata dalla democrazia, ma da altri poteri in maggioranza privati; e peccato che tutto il sistema, benché si definisca democratico, vive parallelo a poteri autonomi e tradizionali (non solo quello della magistratura), e a volontà familistiche.
Tra associazioni civili e religiose, congregazioni, massonerie e mafie, lo spazio riservato al polverio popolare è solo un’arena dove si affrontano le bande dei poteri reali.
Forse il mio astio per le pagliacciate inglesi si sta affievolendo.
Sebbene l’aggressione del potere
si compia attraverso la ferocia della menzogna, l’incessante spettacolo di maggioranze inani mi dice che stiamo vivendo l’infanzia della nostra specie, e che il numero delle contraddizioni scatenate dall’intelletto è persino maggiore di quelle scaturite dalle brute volontà contrapposte.
E’ sempre più certo che il vero progresso passerà per la dittatura violenta della ragione.
Giuseppe Di Maio