Lettere e Opinioni

Gli intellettuali e il potere

Vicenza – Julien Benda (1867-1956), partendo dalla prova esemplarmente positiva data da molti intellettuali francesi in occasione dell’affaire Dreyfus, e da quella invece molto deludente data dagli stessi durante la Prima Guerra Mondiale, pubblicò nel 1927 “Il tradimento dei chierici”. Questo pamphlet, divenuto poi famosissimo, rimane ancor oggi uno dei testi centrali della discussione sulla posizione degli intellettuali anche nel nostro secolo. Per Julien Benda l’intellettuale deve essere il “custode dei valori”, al servizio della ragione, della verità, della giustizia.

L’accezione del sostantivo “intellettuale” riveste carattere oggettivo. Designa una particolare categoria, emergente per istruzione e competenza specifiche superiori alla media. Il termine “categoria” segnala, di per sé, una classe chiusa, autoreferenziale, abitata da monopolisti delle idee, scrittori “impegnati”. Sotto questo aspetto, emergono storie di individui, portatori di idee e di ideologie, che tessono il filo della loro singola esistenza, talvolta movimentata, al limite rivoluzionaria.

Ai nostri giorni ci sono intellettuali cosí coinvolti nella politica da agire come la “milizia spirituale” del potere. In questa chiave di lettura di “chierici moderni” c’è chi è coincidente con ciò che detta la passione politica o la parte politica di cui l’intellettuale si è messo al servizio. Nessun dubbio che la “carriera” degli intellettuali, storicizzata, appaia contraddittoria. Un po’ dalla parte della vita, un po’ dalla parte del proprio mestiere. L’intellettuale perciò non è uno che si rende difficile la vita, è anche uno che rende difficile la vita agli altri.

A proposito poi di “carriera”: in Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “bella promessa” a quella di “solito stronzo”. Soltanto a pochi fortunati l’età concede di accedere alla dignità di “venerato maestro”. Vedasi “Venerati maestri – Operetta immorale sugli intelligenti d’Italia” (2007) di Edmondo Berselli.

Una tale premessa ci è utile per osservare i pochissimi intellettuali contigui o quanto meno disponibili all’ambito indipendentista veneto. Costoro sinora si sono dedicati a sondare la legittimità e il conseguente quadro giuridico nazionale e internazionale che giustifica l’autogoverno. Ma ancora non hanno approfondito un quadro politico-istituzionale innovativo che presenti – agli occhi degli incerti – il superamento del timore di ritrovarsi con un nuovo soggetto politico-istituzionale che risulti una sorta di “piccola Italia”.

Nell’attuale fase storica, nella quale le librerie chiudono o fanno fatica a sopravvivere e, conseguentemente, il libro è uno strumento scarsamente fruibile, i predetti intellettuali di area indipendentista si sono prodigati nell’affiancare alcuni pseudo leader partitocratici per scrivere “a quattro mani” (in realtà solo un paio: le loro) delle opere che insistono sulla rivendicazioni dei diritti; volutamente ignorando che un diritto che non è riconosciuto (quello dell’autodeterminazione della Catalogna o della Scozia, ad esempio) non vale molto.

Niccolò Machiavelli (che è stato secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina dal 1498 al 1512) è una figura controversa nella Firenze dei Medici, ed è noto come il fondatore della scienza politica moderna, i cui princìpi base emergono dalla sua opera più famosa, “Il Principe”, nella quale è esposto il concetto di ragion di Stato e la concezione ciclica della storia. Temi che non appaiono nelle corde degli intellettuali su indicati. Se Machiavelli dà consigli a Cesare Borgia, detto il Valentino, i suoi odierni omologhi contigui all’indipendentismo sinora se ne sono astenuti. Al massimo fanno degli endorsement sui media di regime.

Eppure se si prende atto che l’indipendenza e l’autogoverno si ottengono anche per mezzo dell’appoggio, o comunque la non ostilità dell’ambito internazionale, questi intellettuali avrebbero di che sbizzarrirsi promuovendo incontri e dibattiti con i loro omologhi degli atenei stranieri. Stimolando la promozione – sempre all’estero – di mostre d’arte, concerti, spettacoli teatrali, convegni e conferenze. Si pensi al materiale a disposizione:

I grandi pittori veneti: 

  • Per il Trecento Paolo Veneziano e Altichiero da Zevio. 
  • Per il Quattrocento l’opera del Mantegna da Padova, di Cima da Conegliano, Giovanni Bellini, fratello di Gentile Bellini con il figlio di Jacopo Bellini, del Giorgione.
  • Per Cinquecento il bellunese Tiziano Vecelio.
  • Per il barocco del Seicento dal Maffei al Carpioni, dal Liberi al Farabosco, dal Vecchia al Celesti, dallo Zanchi al Bellucci, a Sebastiano Ricci. 
  • Per il Settecento Giambattista Tiepolo con la sua verve storico narrativa. Padre dei pittori Giandomenico e Lorenzo Tiepolo, Oltre ai grandi artisti delle decorazioni sacre e profane come  Sebastiano Ricci e Giovanni Battista Piazzetta. Giovanni Antonio Canal, meglio conosciuto come il Canaletto, e Francesco Guardi.

Per l’architettura:

  • Giovanni Bono (1360-1443)
  • Bartolomeo Bono, Il Vecchio (1400-1464)
  • Antonio Rizzo (1430-1499)
  • Cristoforo Solari, Il Gobbo (1460-1527)
  • Pietro Lombardo (1435-1515)
  • Andrea del Verrocchio (1432-1488)
  • Mauro Codussi (o Coducci) (1440-1504)
  • Alessandro Leopardi (1450-1523)
  • Jacopo Sansovino (1486-1570)
  • Andrea Palladio (1508-1580)
  • Vincenzo Scamozzi (1552-1616)

Per la scultura:

  • Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi.
  • Antonio Canova.

Si può passare poi a spettacoli con i grandi musicisti:

  • La Scuola veneziana 1500-1650. Musica da Willaert a Monteverdi. 
  • Antonio Vivaldi 
  • Benedetto Marcello 
  • Tomaso Giovanni 

E i commediografi:

  • Carlo Goldoni 
  • Carlo Gozzi
  • Angelo Beolco detto il Ruzzante 

Chiaramente abbiamo stilato un elenco incompleto, ma sufficiente a evidenziare la vastità del “pozzo” dal quale trarre ispirazione per rinfrescare la memoria, il sentimento di orgoglio e appartenenza alla storia veneta, considerato che non c’è ambito artistico nel quale queste genti si siano cimentate con successo.

I predetti intellettuali potrebbero rendersi protagonisti di “missioni” culturali internazionali delle più varie articolazioni per “agganciare” i loro omologhi stranieri, i politici, e gli imprenditori creando occasioni per ulteriori scambi commerciali partendo principalmente dal grande “bacino” dei veneti del sudamerica, per poi spaziare negli altri continenti. E considerato che nessun degli intellettuali cui facciamo riferimento è dichiaratamente socialista, essi potrebbero ideare eventi auto-finanziabili, giacché non sarebbe né facile, né opportuno ricorrere a finanziamenti pubblici di sorta. Si pensi – un esempio tra i tanti – ai pacchetti turistici per le mostre d’arte organizzate dal trevigiano Marco Goldin.

Al momento questi intellettuali di area indipendentista sono abbagliati dal mito catalano e scozzese, trascurando clamorosamente la vicenda della Brexit. Infatti i figli d’Albione non hanno chiesto all’UE: «Ci concedi d’andarcene?» No! Più propriamente essi hanno chiesto agli elettori del Regno Unito, per mezzo di un referendum (2016), se volevano restare o uscire dall’UE. E non bastasse hanno poi affrontato delle elezioni (dicembre 2019) il cui tema principale era insediare o meno un esecutivo che realizzasse la Brexit.

Ed ecco quindi Boris Johnson che si presenta agli europei e sostanzialmente dice: «Noi ce ne andiamo. Meglio con le buone, altrimenti ce ne andiamo comunque.» E il parlamento europeo ha abbozzato e intonato “Auld Lang Syne”, che è una delle canzoni più celebri di tutti i tempi. Composta in Scozia e diffusa ormai ovunque, rappresenta uno di quei casi di “melodia universale” che spesso conosciamo senza nemmeno rendercene conto. È diffusa anche in Italia, sia in versione originale che con il titolo di “Valzer delle candele”.

Di più: la conferma che l’«esercizio del Potere» difficilmente lo si abbandona, ci proviene da un’altra lezione. Questa volta a opera del premier scozzese Nicola Sturgeon. Costei a seguito della decisione del Regno Unito di abbandonare l’UE chiede un secondo referendum per l’indipendenza, perché sostiene che gli scozzesi hanno votato per rimanere in Europa. Ma prontissima è stata la risposta di Boris Johnson: «Non se ne parla nemmeno!» Insomma, per chi non l’avesse ancora capito, l’indipendenza non la si chiede, la si esercita.

Malgrado ciò, questi intellettuali attigui all’indipendentismo veneto appaiono sussiegosi e distratti da indizi della storia scarsamente efficaci (si guardi all’improduttività della “via istituzionale” della Catalogna, oltre appunto alla Scozia), e piuttosto inclini a flirtare con un “Potere” regionale la cui immagine non è delle più appetibili, perché politicamente indecente.

Enzo Trentin

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