Lettere e Opinioni

“Muteranno le cose se cambieranno gli uomini”

Vicenza – La storia dell’indipendentismo veneto non è una storia d’intelletto creativo: non elabora nulla, salvo triturare nel frullino i medesimi richiami a questa o quella indicazione di principio internazionale, e a qualche legge italiana adattati al contesto odierno. Non c’è un necessario coordinamento tra le forze democratiche venete e la comunità internazionale, e desiderare che un problema sparisca, raramente è una strategia efficace.

Giovanni Dalla Valle
Giovanni Dalla Valle

Con queste premesse conversiamo con Giovanni Dalla Valle, medico psichiatra in pensione che, da veneto doc, molto si è speso per l’idea indipendentista.

Giovanni, secondo te esiste ancora un indipendentismo veneto?

Direi che fatta eccezione per alcune associazioni culturali e pochi coraggiosi, d’indipendentismo ne è restato poco dalle vostre parti. Quel che è rimasto lo classificherei come venetismo, una caricatura grossolana dei nobili ideali che i veri indipendentisti hanno da tempo individuato perfettamente con l’aggettivo di caregari. D’altra parte occorre capire che l’indipendentismo che abbiamo visto tra il 2010 e il 2015 era in gran parte populismo, anzi una specie di avanguardia di quello che poi sarebbe stato definito populismo dai media, e che oggi sta dilagando in tutto il mondo occidentale. I Gilets Jaunes ne sono in qualche modo l’espressione più acuta e più recente in Francia, ma ricordo che ci furono anche i Berets Rouges nel 2013,  i Forconi in Italia nello stesso periodo, il Movimento 15 in Spagna nel 2012,  Occupy Wall Street in Usa nel 2011 etc.    

È la conseguenza delle devastanti ripercussioni di una crisi finanziaria globale (2007-2008), con la reazione autoritaria e punitiva della UE e della BCE nei confronti dei paesi membri più indebitati (specie quelli dell’Eurozona) e la sostituzione dei primi ministri con commissari ad hoc tipo Mario Monti in Italia l’11 novembre 2011; Lucas Papademos in Grecia nello stesso giorno, e con l’imposizione di un’austerità massacrante per i ceti medio-bassi. Per approfondire si veda qui. 

Pensi che le divisioni interne abbiano giocato un ruolo nell’impedire all’indipendentismo veneto di fare massa critica e diventare fenomeno “rivoluzionario” serio come in Scozia, in Catalogna o nelle Fiandre?

Non esiste in politica un partito, o un qualsiasi gruppo di persone che intendono occuparsi dell’assetto amministrativo di una comunità che non finiscano per essere divisi, frammentati e persino lacerati al loro interno in vari momenti. È proprio la capacità di diversificazione tra di noi che ci ha consentito di evolvere. Oggi godiamo tutti di salute, prosperità, comodità impensabili ai tempi della scimmia australopiteca Lucy (3.2 milioni di anni fa) perché ci sono sempre stati “rompimarroni” tra di noi. Evidentemente quando i venetisti parlano di “unità” intendono un tipo di conformità sociale simile a quella dei membri della tribù di Lucy. 

Lo stesso principio vale anche per chi si ostina a pensare che l’indipendentismo veneto possa rinascere se si tenta di riunire tutti, cani e porci, sotto un’unica formazione. Ci hanno provato dozzine di volte in più di trent’anni. Semplicemente non funziona. Occorrono invece progetti seri su cui tutti possano concentrarsi, dimenticando (o perdonando) le ferite reciproche, e scoprendo la forza della coesione attorno a un lavoro utile per l’intera comunità. Il Libro Bianco dei Veneti, progetto da me lanciato nel marzo 2014, aveva appunto questo scopo. Fummo affondati dai soliti australopitechi venetisti, molto più compatibili con il profilo del politico medio italiano che non con quello dei nostri avi. Peccato non si capiscano queste cose.      

Concordi che sarebbe utile avere una  Intelligencija veneta?

Come tu sai io mi sono speso con frequenti viaggi in Veneto. È noto che pur operando professionalmente da decenni a Londra mi sono fatto più di cento voli per la rinascita della Repubblica Veneta, e ho investito enormi quantità di tempo, denaro ed energie. Ho organizzato eventi, convegni tra i più partecipati. Occasioni d’incontro, dibattito e approfondimento anche chiamando a partecipare esponenti catalani, scozzesi, fiamminghi, siciliani, sardi, tirolesi e altri ancora. Certo, la conclusione che anch’io ne ho tratto è che l’indipendentismo veneto manca di una Intelligencija, e soprattutto ci sono persone un po’ bauche, oltre a qualche pampalugo, che rendono l’obiettivo wishful thinking (un pio desiderio). Basta osservare come i semplici indipendentisti si sono fatti abbindolare nel corso della campagna elettorale per le regionali del 2015. 

Chi, tra gli altri, opera per “la causa” è Venetian Ambassadors, l’organizzazione internazionale no-profit che promuove l’immagine, il lavoro e gli interessi dei cittadini veneti nel mondo, e di chiunque venga in contatto con loro. La sua missione è etica. Sono determinati a continuare l’ethos degli Ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia, noti nei secoli per le loro eccellenti abilità nello sviluppare rapporti culturali, diplomatici, commerciali con tutti i popoli della terra. Su questa base c’è in animo di superare le note divergenze. Si pensa di lanciare un crowdfunding rivolto ai veneti nel mondo.

Stimolandoli con informazioni storiche e d’attualità, con promozioni culturali ed economiche, con gemellaggi, scambi di visite, meeting, convegni e congressi. Si tratta di un lavoro immenso che potrebbe superare il problema di sempre: l’autofinanziamento. Motivo per cui alcuni hanno creduto che con l’elezione nelle istituzioni italiane si potesse ovviare, ma abbiamo constatato che si tratta di una lusinga. Chi arriva ad essere eletto in tali istituzioni ne viene imbambolato, pensa ai schei, viene cooptato, diventa malaccorto. Beninteso non parliamo di coloro che sono chiaramente in malafede, perché portatori d’una cultura partitocratica che ha sconfortato tutti; non solo i veneti. Da qui si capisce che il programma è vasto, e necessita di molte risorse umane che sono state disperse dai soliti opportunisti della carega.

Cosa pensi del progetto Assemblea Veneta, presentato di recente da alcuni intellettuali?

Spero non si tratti dell’ennesima manovra per portare acqua al mulino dei candidati per le regionali del 2020. Auspico che si ricordino che i politici sono come i pannolini: bisogna cambiarli spesso e per le stesse ragioni. Indubbiamente, se in  AV saranno in grado di presentare facce nuove e non legate a logiche elettorali, io per primo non esiterò a coadiuvarli. Soldi per finanziarli possiamo sicuramente trovarli con la rete d’imprenditori della Venetian Ambassadors. Ho, però, già detto chiaro ai promotori che noi non muoveremo un dito se il loro progetto rischia di fare da cassa di risonanza per i soliti caregari, e se non c’è volontà di studiare, proporre e condividere (dal basso) un canovaccio di soluzioni concrete per i veneti di oggi che porti alla fine a un preciso programma istituzionale per un Veneto indipendente.

Ora ci servono persone che facciano per i veneti. Finora, ho visto efficienti solo soggetti culturali come: Raixe Venete, l’Accademia della Bona Creanza, l’Accademia della Lingua Veneta, Incant’Arte, l’Associazione Paolo Sarpi e pochi altri nel fare qualcosa di concreto per promuovere la cultura veneta e il diritto all’autodeterminazione. Al momento, con la dovuta attitudine guardinga, visto i pregressi, ma senza necessariamente disperare, dico solo: bon laoro!  Pregherò San Marco anche per loro. Chissà che, questa volta, siano meno Bertoldi del solito.

Eppure non sono mancati personaggi che hanno tentato di portare avanti programmi indipendentisti un po’ più strutturati, almeno a livello istituzionale: Beggiato, Busato, Chiavegato, Comencini, Guadagnini, Morosin, e qualche altro…

Li conosco tutti fin troppo bene (sic) e sono grandemente deluso. I loro non sono progetti, ma piuttosto slogan e spesso a pura finalità elettorale. Cos’è un progetto? Una conferenza? Un’arringa nelle Tv locali? Una manifestazione? Un corteo? Un comunicato? Un post in Facebook? Una lettera piccata nella rubrica “lettere al direttore” di qualche quotidiano? No: queste sono solo iniziative di protesta, esternazioni, urla tra la folla, magari anche ben confezionate e ben sonorizzate, ma restano solo urla tra tante.

Un vero progetto politico predispone obiettivi chiari. Nasce dall’identificazione di problemi veri e specifici che interessano la maggior parte dei membri di una comunità. Cinque milioni di Veneti non possono aver tutti gli stessi problemi. Poi dalla proposizione di soluzioni concrete e specifiche a questi problemi, condivise con più gente possibile, in tutti i settori istituzionali più rilevanti: economia, lavoro, pensioni, scuola, sicurezza, ambiente etc. per proseguire con l’illustrazione di metodi e tempistiche per realizzare queste soluzioni. Poi con la stima di un budget per pagare i costi dei professionisti, delle strutture, della logistica, necessarie a realizzare il proposito.

Questo è un progetto. Un qualsiasi imprenditore lo chiama business plan. Nessuna banca o imprenditore ti presta un Euro oggi se non gli presenti un piano chiaro e articolato in questi termini. Non ho mai visto niente di simile da parte dei nostri masanielli fai-da-te. Sempre e solo slogan, chiacchiere, fuffa. I Veneti del 2019 hanno bisogno di preservare la loro forza economica, sociale e culturale, non di reinventarsene una nuova. Se hanno bisogno di una nuova Repubblica, non è perché una volta hanno goduto per più di mille anni delle buone e sagge amministrazioni della Serenissima, ma perché gli ultimi 158 anni di amministrazione italiana hanno semplicemente fallito. Tutto qua. Ma per convincere cinque milioni di persone che questo si possa fare, occorre un programma serio, non escludendo qualche euro per finanziarlo. 

Dobbiamo intendere che oggi non abbiamo una classe dirigente capace di guardare più in là del prossimo risultato elettorale, quindi praticamente ininfluente, pur avendo tante potenzialità? 

Sì! Il Veneto sotto questo aspetto è un grande brodo di cultura dove periodicamente salgono a galla i personaggi più spigliati, disinvolti, disinibiti. Persone e strutture intermedie (partiti, sindacati, associazioni) verso le quali oramai la maggioranza dei cittadini esprime diffidenza perché si sente abbindolata da anni. Solo a titolo esemplificativo ne citerò alcuni considerandoli degli archetipi: Ettore Beggiato è un antico e duttile autonomista, federalista, oggi indipendentista. Fondatore e demolitore di numerosi partitini, è stato spaparanzato per tre legislature in Regione Veneto.

Ha rassegnato le proprie dimissioni dalla segreteria del gruppo consiliare Siamo Veneto, ma di risultati per il raggiungimento dei requisiti contributivi a decorrere dall’1/06/2017 determinanti per gli ambiti suddetti non ne ha conseguito alcuno. Non per questo avrà necessità del reddito di cittadinanza, perché ha già maturato il massimo per lui ottenibile: un vitalizio di 49.579,60 euro lordi all’anno (3.721,70 euro netti al mese).

Per le mansioni di segretario del gruppo consigliare Siamo Veneto è stato remunerato con ulteriori 115.818,32 euro l’anno (9.651 lordi al mese). Dal 1993 al 1995, senza fare lo schizzinoso, è stato Assessore per la Giunta di Giuseppe Pupillo (ex comunista) e quella di Aldo Bottin (ex democristiano), svolgendo il ruolo di foglia di fico per la partitocrazia in piena tangentopoli, che attraverso la sua presenza, ha potuto gabellare gli elettori dando l’impressione d’essere autonomista e federalista.

Non essendo un sovversivo lo hanno lasciato girovagare per il mondo. A Serafina Correa (Brasile) lo hanno ritenuto persona importante nominandolo cittadino onorario senza alcun merito apparente. Tra i “benefit di regime” c’è anche quello della pubblicazione di libri, e dell’acquisto degli stessi da parte del servizio bibliotecario veneto, sempre naturalmente a spese del contribuente. Oggi preferisce un’attività politica più defilata, da orchestratore tanto per intenderci. Ha coscienza del fatto che come rappresentante non avrebbe più il consenso. S’è scelto il ruolo del memorialista. Riappare in occasione delle ricorrenze che il calendario storico veneziano ciclicamente ripropone: sempre le stesse. 

Lucio Chiavegato (un soffio di fumo) è salito infruttuosamente su tutte le barricate. È entrato e uscito da numerosi partiti e movimenti autonomisti, federalisti, indipendentisti, ma senza alcun costrutto. Se gli chiedi qualche idea per un progetto politico-istituzionale rimanda a quando sarà eletto insieme a molti altri. Chiavegato è perfetto come sindacalista della Life, e se mai si presentassero nella scena politica italiana degli autentici gilets jaunes lui ne sarebbe l’ideale animatore. 

6 ottobre 2012 – Indipendenza Veneta in Consiglio Regionale Veneto. A partire dal secondo a sinistra: Alessio Morosin, Lodovico Pizzati, Anna Ferro, Luca Azzano Cantarutti e Gianluca Busato, alcuni dei “fratelli-coltelli” protagonisti dell’indipendentismo veneto, che puntavano all’elezione in Regione.

 

Più di recente, è salito alla ribalta Antonio Guadagnini, ma poiché se n’è già parlato qui osservo solo che proviene dall’esercizio del salto con la pertica tra i partiti più discussi della cosiddetta prima repubblica, e non aggiungo altro. Sarebbe solo peggiorativo. Con le elezioni del 2020, si prepara a prolungare la sua carriera. Avendo in più la benedizione, disinvolta e irresponsabile, dei dirigenti di Indipendenza Veneta, i quali, mi spiace dirlo, qui fanno solo una brutta figura.

Degli altri, pur riconoscendo qualche guizzo di genialità, inutile parlare. L’assenza di risultati da essi ottenuti è eloquente. La loro cultura indipendentista in realtà è una competenza partitocratica, che per descriverla sarebbe necessario uno spazio che questo giornale non mi concederebbe. Oggi in Veneto non esistono più le risorse di un tempo, e l’avversario non è solo Roma c’è anche Bruxelles. Catalogna docet. La cosa più deprimente di questi supposti leader indipendentisti è che se vai a rivederti i discorsi che facevano fuori dalle campagne elettorali, trovi sempre prese di posizioni contro la partitocrazia italiana. Poi, immancabilmente, a pochi mesi dalle elezioni, tutti là a presentare il loro simboletto in mezzo a miriadi di partiti italiani con i quali a volte hanno cercato alleanze. Un’ambivalenza devastante. Muteranno le cose, se cambieranno gli uomini. 

Enzo Trentin

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