Elezioni, c’è bisogno di un nuovo modo di pensare

Vicenza – Nell’imminenza delle elezioni politiche moltissimi cittadini si chiedono se è importante votare, e quale sia il partito o la coalizione da privilegiare in questo momento storico. Per cercare una risposta, forse è necessario ricorrere ad un pensiero di Albert Einstein laddove sosteneva: “Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare”. Naturalmente mi guarderò bene dal consigliare chicchessia. Mi limiterò ad esporre alcune evidenze, liberi i lettori di trarre le conclusioni che credono.
Prima di tutto è utile conoscere una storiella creata dal fiammingo Jos Verhulst che può spiegare meglio la democrazia rappresentativa. Quella che stiamo vivendo in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale. Immaginate di essere bloccati di notte da cinque ladri che vi obbligano a consegnare loro il portafogli. Però vi lasciano la scelta a quale fra i cinque consegnarlo. Voi lo date a quello che vi sembra meno odioso, il quale successivamente viene arrestato dalla polizia. Durante il confronto il ladro afferma: “Io non ti ho rubato il portafogli; tu me l’hai dato di tua spontanea volontà. In fondo potevi anche decidere di non darmelo”.
La perversità di questa argomentazione è chiara. Voi potevate davvero decidere di non dare il portafogli a questo ladro, ma eravate stati obbligati a dare il vostro portafogli a uno dei cinque contro la vostra volontà. Vi era stata negata la possibilità di tenervi il portafogli. Ora sostituite in questa storiellina i ladri con i partiti politici; il vostro diritto a partecipare direttamente al processo decisionale, con il portafogli, ed otterrete l’argomentazione che i sostenitori della democrazia rappresentativa pura di solito usano. Come la libertà di scegliere a chi dare il vostro portafogli era una falsa libertà, così il mandato nella democrazia rappresentativa pura è un falso mandato, proprio perché imposto.
Ma supponiamo di andare a votare “il meno peggio”, proprio per limitare i danni come sostiene qualcuno. Questo “meno peggio”, nel corso del suo mandato, potrà essere influenzato dai suoi elettori? Oppure, anche quando egli non rispettasse le direttive o imposizioni del partito che lo ha candidato, non si potrebbe rifare all’articolo 67 della Costituzione che recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.»?
Nel corso di questa ultima legislatura, i cambi di casacca sono stati ben 526 su un totale di 945 parlamentari, e non hanno risparmiato nessun partito. Costoro hanno rispettato il mandato conferito loro dagli elettori? Se sì, che mandato era? Uno o dieci parlamentari “alternativi”, quale determinante influenza legislativa potranno avere? I partiti, tutti, quando mai hanno rispettato la “sovranità popolare”, ovvero coloro che li hanno votati, espressa tramite referendum? Basti pensare a due temi su tutti: la privatizzazione della Rai e il non finanziare i partiti con soldi pubblici.
I partiti (tutti) sono democratici al loro interno? O siamo arrivati all’opposto che vede partiti riconoscersi sul simbolo che reca il nome del suo “padrone”? Pardon! Leader. E le lotte tra i partiti non sono in fondo governate dal pensiero così ben formulato a suo tempo da Michail Pavlovič Tomskij: “Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”? A quale spirito democratico appartengono le regole o restrizioni per i nuovi soggetti politici che vogliono entrare in Parlamento, che necessitano di un adeguato numero di sottoscrizioni – chi è nelle istituzioni ne è esentato -, oppure il raggiungimento di determinati quorum?
In vista del voto del 4 marzo si apprende che c’è meno voglia di politica, il 24% non si informa, il 32% non ne parla mai. Tanto, non è cambiato nulla. Inutile spiegare il perché. “Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui (questo comporta anche che le soluzioni parziali sono da scartare in partenza a cominciare da quella di riportare indietro i migranti, che ripartirebbero il giorno dopo, nrd), dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. È un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno”. Parola di Alberto Bagnai, sul blog “Goofynonics”.
Come se ne esce? Con la riforma elettorale? No, perché premierà la lista, non chi è capace. Con il jobs act? No, perché riguarda i lavoratori, non gli amministratori. Con il taglio dell’Irap alle aziende che assumono? No, perché il costo del lavoro è una cosa, deliberare appalti è un’altra. E con cosa, allora? Con gli 80 euro? Nemmeno! Basta leggere una cartina geografica piuttosto politica, ben delimitata e marcata, come quella realizzata da “Opencivitas”, il portale che, attraverso i dati del ministero delle Finanze, proietta l’Italia dei conti per Comuni e Province. E l’Italia è belle che fatta. I dati sono di tre anni fa ma nessuno ha mai dato corso alle indicazioni di quel dossier, e dunque per l’uomo qualunque sono e restano attuali.
Malgrado tutto ciò i partiti troveranno comunque i loro tax consumers, pronti a votarli per ottenere privilegi e prebende a spese dei taxpayer. Ma l’elettorato se n’è accorto. Nelle amministrative del 2017 l’affluenza al voto scivola nell’allarmante: eccetto Padova e Rieti, con un 50-55% appena decente. Nel resto d’Italia tutti sono al di sotto del 50% (46% complessivo), con Taranto e Como sotto il 35%. Un trend riconfermato in queste ultime settimane dalle elezioni a Ostia, dove l‘affluenza è stata del 33,6%, e di Trapani addirittura sotto il 27%.
E a proposito di taxpayer e debito pubblico – costantemente in ascesa come l’aggravio fiscale – Guglielmo Piombini acutamente sostiene: «A coloro che affermano che gli statali pagano le tasse vorrei fare questa domanda: secondo voi paga più tasse, e contribuisce di più al bilancio dello Stato, un commesso di Montecitorio che riceve 10.000 euro netti al mese, o un artigiano che paga il 70% di tasse sui 2000-3000 euro che riesce a fatturare ogni mese? Se rispondete che paga più tasse il commesso, allora lo Stato italiano ha a sua disposizione uno strumento infallibile per aumentare le proprie entrate e sanare il bilancio: assumere tutte le partite Iva come commessi a 10 mila euro al mese!»
Ancora: un super pagato guitto di regime se ne uscì un giorno con l’affermazione che l’Italia ha la Costituzione più bella del mondo. Il saltimbanco trascura o dimentica o ignora che le Costituzioni nacquero per proteggere i cittadini dai possibili soprusi del potere; non per rafforzare la… “governabilità”.
La lettura del libro dello studioso padovano Federico Cartelli: “Costituzione, Stato e crisi. Eresie di libertà per un paese di sudditi”, disseziona con cura la nostra carta costituzionale, rilevando tutti i suoi caratteri illiberali, statalisti, accentratori. Le sue critiche trovano piena conferma nell’inarrestabile processo di espansione dello Stato avvenuto dal dopoguerra a oggi sotto l’egida di una Costituzione che non ha mai frenato l’aumento della tassazione, della spesa pubblica, del debito pubblico, della burocrazia, dell’alluvione legislativa.
Insomma, questi partiti italiani, che non hanno né valore costituzionale e neppure giuridico, pretendono che gli elettori firmino, con il loro voto, una cambiale in bianco, e si arrogano il monopolio dell’attività politica. Di più: questi partiti pretendono d’insegnare ai cittadini l’esercizio della democrazia.
Enzo Trentin