Figli contesi e psicologi che consigliano psicofarmaci

Sono tante le cose che non vanno in Italia. Oltre al malaffare imperante non mancano infatti le leggi sbagliate, a volte mancano del tutto o sono fumose e interpretabili, altre volte nessuno batte ciglio se non vengono applicate. Senza parlare del clientelismo e della corruzione imperanti. Ma ci sono anche storie che rivelano altre falle, come quelle che riguardano bambini, o comunque minori, sulla cui vita decide un tribunale, magari strappandoli ad un genitore o ad entrambi. A volte non se ne può fare a meno. Altre volte ci si trova davanti a decisioni che lasciano, a dir poco, perplessi.
E’ il caso di una adolescente di Vicenza, a cui diamo un nome di fantasia, Elisa, che ora sta vivendo in una comunità, lontana dalla mamma e dai suoi affetti, su decisione di una psicologa di Padova. Ce la racconta Comitato dei cittadini per i diritti umani onlus, definendo la vicenda di Elisa incredibile. “Dopo le segnalazioni sul disagio causato alla ragazza dall’allontanamento coatto – racconta il Comitato -, la psicologa, invece di ammettere l’errore ormai manifesto, propone di sedarla, per imporle farmacologicamente di accettare la separazione dalla madre”.
E non possiamo che dirci d’accordo, e definire anche noi incredibile che anziché cercare per Elisa una soluzione che le consenta di vivere con almeno uno dei suoi genitori, il cui conflitto reciproco ha causato tutto questo, si scelga di “rinchiuderla” in una comunità, e per di più, dato che lei soffre e si dispera perché non può stare con la madre, si pensi addirittura di “tranquillizzarla” con gli psicofarmaci. La vicenda nasce nell’ambito di una separazione conflittuale. Il padre si rivolge al Tribunale a causa delle difficoltà relazionali con la figlia. Il Tribunale dispone una consulenza tecnica d’ufficio, delegando totalmente alla psicologa le decisioni su questa famiglia.
E a questo punto “le irregolarità si sprecano – commenta il Comitato dei cittadini per i diritti umani -. In palese violazione della Convenzione di New York sui diritti del giovane (che è anche legge italiana), e nonostante la richiesta dell’avvocato della mamma, l’ordinanza di allontanamento del Tribunale di Vicenza non tiene minimamente conto del desiderio di Elisa, ma si appiattisce sulla consulenza psicologica: una pratica purtroppo diffusa in molti tribunali italiani. E non è tutto: l’ordinanza non viene emessa da un giudice togato, ma da un giudice onorario, e non viene nemmeno espresso il parere dal Pm degli affari civili”.
“Alcuni giorni fa – spiega ancora il Comitato – sono arrivate le relazioni della comunità e dei Servizi sociali che segnalano l’impossibilità di continuare il percorso prospettato da questa psicologa. In particolare la relazione dei Servizi sociali afferma che Elisa dice di sentirsi triste e depressa per l’esperienza che sta vivendo, ritenendo che la relazione col padre sia ormai deteriorata in maniera insanabile. Di fronte all’evidenza della totale inadeguatezza e inopportunità del percorso, e l’ormai insanabile rottura dei rapporti con il padre (causata dal forzato allontanamento disposto dalla psicologa, in totale contrasto con la convenzione di New York sui diritti del giovane), la psicologa non solo si rifiuta di ascoltare il grido di dolore della minore, ma cerca di soffocarlo con metodi farmacologici: come se le emozioni di Elisa non fossero la normale reazione umana di un’adolescente che venga forzatamente allontanata dalla mamma, ma il sintomo di una malattia mentale.
“Siamo di fronte ad una gravissima violazione dei diritti umani di un minore – ha dichiarato a questo punto l’avvocato Alessandra Bocchi del Foro di Vicenza, che difende la mamma -, costretto a vivere in una comunità protetta, lontano dalla sua casa, dai suoi affetti, dalla sua mamma e dal suo cane, senza nulla aver commesso, la cui unica colpa sarebbe quella di essere figlia di genitori separati e vittima di una consulenza tecnica nel conflitto genitoriale che, per alleviare la sofferenza dovuta alla lontananza e dalla madre, riterrebbe addirittura necessario un supporto farmacologico. A differenza dei Servizi sociali che, invece, ritengono dannoso prolungare l’inserimento in Comunità, e propongono il ripristino di incontri liberi fra madre e figlia. Questa permanenza è priva di aspetti evolutivi per la ragazzina, che si sente abbandonata e come in prigione”.
“Dalla lettura della consulenza – prosegue il racconto del Comitato – appare evidente come questa ragazza non sia stata ascoltata. Ad esempio, in un primo caso Elisa si lamenta della decisione del padre che la aveva inserita in una classe speciale, negli Stati Uniti, che secondo lei era una classe per handicappati, e loda invece la madre per averla inserita in una scuola normale, seppure con un sostegno, dove è riuscita a progredire negli studi. Eppure secondo la psicologa il padre offre più garanzia e più solidità nel prendersi cura delle istanze e dei bisogni che Elisa manifesta ed esprime. In un secondo caso, questa psicologa sostiene che una professionista, chiamata a condurre un percorso psicologico sulla ragazza, abbia già fatto l’aggancio terapeutico, mentre le carte evidenziano come l’atteggiamento di Elisa nei confronti del percorso terapeutico sia stato di grande ostilità”.
“Le ragioni di questo mancato ascolto di Elisa sono un’evidente conseguenza del pregiudizio proprio di alcuni psichiatri e psicologi che sostengono la Pas (Sindrome da alienazione genitoriale). Questa cosiddetta sindrome (il cui utilizzo nei casi di affidamento di minori è stato esplicitamente escluso in una recente sentenza della Corte di Cassazione, perché dallo studio della letteratura scientifica non se ne trova traccia) è stata usata per motivare l’allontanamento forzato di Elisa dalla madre e dai suoi affetti. Il nostro comitato sostiene da anni la mancanza di scientificità della disciplina psichiatrica, ma la validità di questa sindrome è controversa persino all’interno della stessa comunità psichiatrica. E la soluzione proposta da alcuni fanatici della Pas è realmente estrema e prevede la totale cessazione coatta dei rapporti con il genitore alienante: una soluzione peggiore del male e molto invasiva, che ha aperto la porta a innumerevoli violazioni dei diritti dei bambini”.
“Ci auguriamo conclude il Comitato dei cittadini per i diritti umani onlus – che il giudice possa rivedere velocemente la vicenda con una propria istruttoria, riappropriandosi del suo ruolo di perito dei periti, e assicurando giustizia a questa bambina in conformità con la Convenzione di New York sui diritti del giovane. Chie anche un intervento efficace da parte dell’Ordine degli psicologi”.